Il coro del Teatro La Fenice dice no all’inno nazionale per il 2 giugno: offerti 35 euro lordi per due giorni di lavoro. Il Ministero replica duramente.
Proposta del Ministero, il rifiuto dei lavoratori della Fenice
Una proposta di collaborazione per celebrare la Festa della Repubblica ha acceso il dibattito tra il Ministero della Cultura e il coro del Teatro La Fenice di Venezia. Al centro della questione, la richiesta del Ministero di eseguire l’inno nazionale, da registrare in video e diffondere dopo il Tg1 del 2 giugno. Il compenso offerto era di 35 euro lordi a persona per due giorni di lavoro. Le rappresentanze sindacali del teatro hanno rifiutato, giudicando la cifra inadeguata rispetto all’impegno richiesto.
La reazione del ministro della Cultura Alessandro Giuli non si è fatta attendere. Presente a Venezia per promuovere la candidatura della via Francigena a patrimonio Unesco, Giuli ha criticato apertamente la scelta: “I diritti acquisiti si rispettano sempre, quindi i sindacati facciano i sindacati, ma si rendano conto che è realmente stupefacente rifiutarsi di intonare l’inno nazionale del 2 giugno, se non a fronte di una ulteriore elargizione di 45mila euro vostri e nostri, dato che sono contributi pubblici”.
Il ministro ha inoltre dichiarato: “L’Italia è piena di italiani che canterebbero gratis per avere l’onore di intonare l’inno d’Italia il 2 giugno. Questa presa di posizione è per me una cosa abbastanza grave”. Ha infine sottolineato i finanziamenti pubblici concessi in passato alla Fenice, esprimendo delusione per la decisione.
La posizione dei sindacati: “Non c’erano le condizioni per accettare”
La replica dei lavoratori è arrivata tramite Marco Trentin, orchestrale e rappresentante sindacale. Trentin ha chiarito che non è mai stata avanzata una richiesta di 45mila euro, e che il primo preventivo ministeriale prevedeva un totale di 20mila euro da suddividere tra 145 lavoratori. Le rappresentanze avevano proposto un incremento di circa 18mila euro, sempre al lordo dei costi e da ripartire internamente.
Secondo Trentin, il contratto collettivo delle fondazioni lirico-sinfoniche, firmato dallo stesso ministero, stabilisce l’obbligo di trattativa in caso di prestazioni straordinarie. Per questo motivo, l’offerta è stata considerata non conforme alle regole in vigore. Quando il sovrintendente Nicola Colabianchi ha suggerito di registrare il brano senza il coro, i sindacati hanno definito la proposta “irricevibile”, poiché avrebbe escluso oltre 70 lavoratori.
Successivamente, è emersa una nuova ipotesi: la registrazione dell’inno con una metà del personale proveniente dalla Fenice e l’altra dall’Arena di Verona. Tuttavia, anche questa soluzione è stata messa in discussione: “Ci hanno chiesto una risposta entro stasera, ma le rappresentanze sindacali hanno chiarito che mancano troppi dettagli. I lavoratori di Verona sarebbero pagati? E quanto?”.
Il sindacalista ha infine concluso: “L’inno nazionale non può essere utilizzato come scusa per comportamenti antisindacali e per stracciare i contratti collettivi nazionali”.
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